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Il viaggio e non la meta

 “Il viaggio ci rende felici, non la destinazione”.

 

 La citazione è tratta dal film “La forza del campione” (2006) a chiusura della scena in cui il maestro conduce l’allievo sulle pendici di una montagna. Lungo la strada la riflessione si centra attorno a tre parole: “paradosso” (la vita è un mistero, non cercare di capirla); “ironia” (usala innanzitutto con te stesso, soprattutto in certe occasioni); “cambiamento” (niente può essere immutabile).

Un cammino faticoso, non privo di difficoltà, che mette a dura prova il fisico e i nervi del più giovane tra i protagonisti, particolarmente quando, nel giungere sulla sommità, prova forte delusione nel non trovare nulla di ciò che, sorprendentemente, sperava di trovare. È in quel momento che il maestro, tra la perplessità e la rabbia dell’allievo, prende da terra un sasso qualunque: “Nemmeno io sapevo che lo avrei trovato. Non lo sai mai”.        

Ed è in quello stesso momento, in una breve pausa di riflessione, che il giovane comprende il significato di quella strada, di quella fatica, di quelle parole. Il senso di se stesso in divenire: “il viaggio ci rende felici, non la destinazione”.

Viaggio fuori e dentro di sé

Fuori metafora, ma poi non proprio del tutto, in più di una circostanza ci siamo messi in strada verso una destinazione. Che si trattasse di un viaggio vero e proprio o di un percorso interiore, alla ricerca di sé, la difficoltà del cammino ha in qualche modo ostacolato il raggiungimento di quella meta. La fatica del marciare come un qualunque altro imprevisto, ha comportato rallentamenti, deviazioni, inversioni sui passi già fatti. 

Qualche incrocio sconosciuto ci ha poi fatto sperimentare smarrimento, insicurezza, senso di fallimento. In più di una circostanza abbiamo avvertito la chiara sensazione dell’inutilità di quel viaggiare, magari maledicendo la scelta di essersi messi in cammino. Sentiamo forte la spinta a rinunciare.

Se siamo più caparbi, procediamo: nonostante tutto puntiamo dritti alla meta. Ovunque essa si trovi, proseguiamo il cammino, con la speranza-certezza che giunti a destinazione troveremo appagamento a tanta fatica.

Comunque sia, l’essere centrati solo sulla meta non può bastare. A maggior ragione se, giunti a destinazione, la stessa si rivela meno significativa delle attese in essa riposte. Il senso di frustrazione è tale da svilire ogni nuova possibile motivazione ad intraprendere un qualsiasi nuovo viaggio.

La felicità nella fatica del viaggio

Ecco allora che assumono pregnanza il viaggio, l’essere in cammino, la consapevolezza di ogni passo compiuto, lo sguardo basso sul sentiero prima ancora di quello lungo, proiettato sulla meta. È in questa attenzione al viaggio, al “percorso” intrapreso, che assumono senso e significato ogni genere di difficoltà come la ferma volontà di arrivare.

La felicità è in quella fatica: una fatica che offusca, ma che se compresa e accompagnata da un compagno di viaggio, aiuta a far prendere consapevolezza che ogni passo compiuto equivale ad un avvicinamento alla meta, alla (ri)scoperta di una risorsa in più sulla quale far leva per compiere un nuovo passo. E ad ogni nuovo passo il superamento di un limite, di ciò che si frapponeva tra il punto di partenza e la destinazione.

È in questo incedere che sta la bellezza del camminare, dentro e fuori di sé, alzando di tanto in tanto lo sguardo per godere costantemente di un panorama sempre nuovo, sullo sfondo di un orizzonte che non conoscerà così mai confini. “Quando hai capito che la destinazione è la strada e che tu sei sempre sulla strada, non per giungere a destinazione, ma per godere della sua bellezza e della sua saggezza, la vita cessa di essere un dovere e diventa semplice e naturale, una beatitudine in sé e per sé” (Sri Nisargadatta Maharaj – Io sono quello).

 

                                                                                    Cesare Perrotta 

Counselor Professionista Avanzato